INTERVISTA A MARIO MORCELLINI



Preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione alla Sapienza Università di Roma.


Com' è attualmente l' informazione in Italia, possiamo parlare di libera informazione?
Cosa distingue l' Italia dagli altri paesi nel campo dell' informazione?


Lo stato di salute dell’informazione italiana non è certamente buono, e negli ultimi anni si è registrato un certo peggioramento nella qualità complessiva delle notizie. Rispetto ad altre democrazie occidentali, in Italia il ruolo dei giornalisti appare meno autonomo e dunque più debole. Al di là delle dichiarazioni d’intenti, sempre nobili ma spesso poco realistiche, il giornalismo italiano fa molta fatica a percepirsi e ad agire come uno strumento di mediazione tra i poteri, mettendosi effettivamente al servizio dell’opinione pubblica.


Esiste assenza di verità?


Parlare di “verità giornalistica” è sempre stato problematico, ma questo non può certamente fornire un alibi per far diventare prassi le notizie non verificate, o peggio i veri e propri falsi giornalistici. I giornalisti sono tenuti ad accertare la verità sostanziale, seppur fragile delle notizie che pubblicano attraverso i documenti e i riscontri che hanno a disposizione. Ma questo spesso non accade, e si finisce per costruire notizie su voci di corridoio, indiscrezioni interessate e carta straccia. O peggio, si passa direttamente all’astensione dalla notizia. I principi deontologici, in assenza di un potere effettivo di sanzione da parte delle associazioni professionali, rischiano di diventare lettera morta. Non è certamente un buon periodo per la nostra informazione.


Perché in Italia è così forte l' influenza della politica nel campo dell' informazione?
e soprattutto perché i politici ci vogliono con le bocche cucite?


L’Italia, per il giornalismo come per altre vicende che riguardano l’assetto dell’industria culturale, rappresenta un caso a sé stante, con caratteristiche ostinatamente e radicalmente diverse da quelle di altri paesi. Anzitutto, la storia ci dice che c’è sempre stata una forte sovrapposizione di interessi tra editoria e politica. La stampa, e poi la televisione hanno spesso rappresentato un mezzo per dare forma e visibilità pubblica agli interessi dei grandi gruppi industriali e dei partiti politici, e alle relazioni tra gli uni e gli altri. C’è un condizionamento reciproco che – con le dovute eccezioni - non ha certamente rappresentato un elemento in grado di favorire l’emancipazione del giornalismo italiano e la sua capacità di trovare uno spazio di mediazione tra opinione pubblica e politica.


Attualmente qual è il mezzo che permette la libera informazione?


Le nuove tecnologie rappresentano indubbiamente un elemento di speranza, ma sarebbe semplicistico pensare che chi ha finora condizionato il dibattito pubblico attraverso il sistema “ufficiale” dell’informazione non abbia interesse a fare altrettanto anche con le nuove tecnologie. Il generoso spontaneismo “democratico” che ha caratterizzato la prima fase dell’informazione on line, con i newsgroup, i blog, i forum di discussione deve oggi fare i conti con una presenza che sembra sempre più organizzata nella lotta per gli spazi di dibattito più visibili, come le pagine dei commenti dei grandi quotidiani. La novità è che oggi questo tipo di presenza può diventare determinante anche sul risultato di un appuntamento elettorale. Ciò a cui assistiamo non è l’assenza di libertà, ma la marginalizzazione delle voci fuori dal coro, relegate entro spazi di scarso valore nella formazione dell’opinione pubblica. Poi c’è la questione della responsabilità degli operatori dell’informazione nei confronti dei lettori e soprattutto delle persone di cui si scrive, siano esse importanti personalità del mondo della politica o della cultura piuttosto che semplici cittadini, spesso stranieri, oggetto di processi mediatici poco edificanti. Quello della correttezza dei giornalisti, specie in questo periodo è diventato un tema assai attuale: la libertà senza responsabilità è un’arma a doppio taglio, molto pericolosa non solo per chi ne abusa, ma per il clima generale del dibattito pubblico.


Oggi quanto è cambiata la professione del giornalista?


Ci si potrebbe chiedere piuttosto cosa sia rimasto invariato nella professione del giornalista. Le tecnologie, e non solo Internet, hanno cambiato radicalmente il modo non solo di fare, ma anche di concepire la professione, promuovendo una convergenza sullo stesso schermo di testi, immagini, suoni e video che fino a pochi anni fa era inconcepibile. Allo stesso modo, un giornalista può comporre il suo articolo, scegliere le foto o montare un video ed impaginare tutto su carta o sul web senza mai spostarsi dalla sua scrivania. E’ una grande possibilità, ma anche un rischio: si rischia di pensare che la propria postazione sia il punto d’osservazione perfetto sul mondo, rinunciando così a guardare le cose da vicino e riavvicinarsi alla prospettiva della gente.

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