THE WEB IS DEAD… ?

“Il Web è morto”, titola Wired, inteso come pura navigazione su Internet. La rivista americana lancia questa provocazione sulla copertina di Settembre 2010 e la approfondisce con due articoli scritti dal direttore Chris Anderson e dell'editorialista di Vanity Fair e fondatore di Newser Michael Wolff. I due riflettono sul fatto che l’uso di Internet continua crescere, ma che la “navigazione” tramite il browser viene scalzata dai nuovi metodi di fruizione della rete resi possibili dalle “App”, le Applicazioni disponibili per smartphone e Tablet[1]. Le parole di Anderson si basano su dati Cisco che dimostrano come l’uso “web” di Internet sia in diminuzione rispetto ad altri utilizzi. Tale diagnosi è messa in discussione da Rob Beschizza[2]sul blog Boing Boing.

Chris Anderson vede il Web messo in disparte dal crescente utilizzo di “cellulari intelligenti” e Tablet che permettono l’accesso ad Internet, e indica l’utente come il “Killer” del Web, perché l’uomo in generale tende per natura a preferire la comodità di un’applicazione a portata di dito rispetto alla navigazione free ma caotica. Sempre più persone preferiscono pagare per usufruire di servizi su Internet, cosa impensabile nel Web 1.0, giacché gli utenti sono diventati “consumatori” più attenti ed esperti che iniziano a riconoscere come fondamentali aspetti quali la qualità del servizio e la possibilità di non dover ricercare ciò che si vuole. Ad esempio: pagare 99cent. per una canzone su iTunes, piuttosto che un download da qualche servizio P2P, che sono gratuiti ma illegali.

“Ti svegli e controlli la posta sull’iPad, con un’applicazione. Mentre fai colazione ti fai un giro su Facebook, su Twitter e sul New York Times, e sono altre tre applicazioni. Mentre vai in ufficio, ascolti un podcast dal tuo smartphone. Un’altra applicazione. Al lavoro, leggi i feed RSS e parli con i tuoi contatti su Skype. Altre applicazioni. Alla fine della giornata, quando sei di nuovo a casa, ascolti musica su Pandora, giochi con la Xbox, guardi un film in streaming su Netflix. Hai passato l’intera giornata su internet, ma non sul web. E non sei il solo”[3].

Questa situazione sembra dovuta al fatto che alcune aziende (tra cui, in primis, Apple) stanno spingendo nella trasformazione del web in piattaforme chiuse o semi chiuse, per la sola trasmissione di dati, poiché queste sembrerebbero più semplici da usare e si adatterebbero meglio alle vite e alle abitudini delle persone. Lo stesso Anderson, già nel lontano 1997, scriveva su Wired che la tecnologia “push” avrebbe messo fine ai browser. Adesso pensa che la sua profezia si stia avverando. Per Wolff, invece, la morte del web è causata dalla rivalsa dei creatori di contenuto: società editoriali, case discografiche, cinematografiche e software house che, dopo quasi, vent’anni in cui l'unico modello di business possibile è stata la vendita di pubblicità, hanno compreso che scalzare il dominio di Google sul web era impossibile, e che era meglio cominciare a lavorare alla creazione di un “Internet alternativo”, fatto di "walled garden" (siti chiusi, che si riferiscono a classi diverse di utilizzatori).

Al posto della struttura "alla Google", in cui l'utente con una ricerca viaggia tra siti diversi, tornano i recinti in cui si può fare tutto senza dover cambiare pagina o programma.

“Se stiamo abbandonando la logica del web aperto e orizzontale, è almeno in parte per l’ascesa degli uomini d’affari, che pensano quasi esclusivamente in termini di tutto o niente: molto più simili alle logiche verticali dei media tradizionali piuttosto che a quelle utopiche e collettivistiche del web. Si tratta del risultato di un’idea ben precisa, che rigetta l’etica del web, la sua tecnologia e i suoi modelli di business”[4].

Erick Schonfeld scrive su TechCrunch[5], “si tratta solo di una fase evolutiva perché, quando sul mobile la gente sarà sommersa dalle applicazioni, si tornerà all’uso del browser, ma affinché vi sia evoluzione serve una variazione del paradigma dominante che si stabilizzi nel tempo diventando, a sua volta, paradigma dominante”. Per Anderson il cambiamento ambientale post-Html che sta emergendo sembra essere più adeguato allo sviluppo del capitalismo della Rete, ed è quindi probabile una sua stabilizzazione in tempi brevi. Egli immagina l’espandersi di un mercato fatto di “assaggi” gratuiti con un completamento di servizi a pagamento. Si tratterebbe di una modalità di fruizione capace di sincronizzarsi meglio con le vite degli utenti, capace di rispondere istantaneamente alle necessità di vivere contemporaneamente la localizzazione e la delocalizzazione, l’immediatezza e la mediazione.

Non ci sarebbe un rifiuto del web, ma semplicemente un modo di “abitare” la Rete più consona alla crescita imponente di utenti che non rappresentano più delle élite, ma ormai vere e proprie masse. Derrick De Kerckhove, nel libro “Brainframes. Mente, tecnologie, mercato”, scrive:

“I media, in quanto tecnologie basate sul linguaggio, sono in grado di influenzare l’organizzazione cognitiva sia sul piano neuronale che su quello psicologico agendo a livello del profondo, modificandoci strutturalmente. Non si tratta quindi semplicemente di diverse visioni del mondo suggerite dall’uso dei media, ma di veri e propri cambiamenti evolutivi nel modo di organizzare i nostri pensieri che passano attraverso un modellamento degli emisferi cerebrali da parte delle tecnologie di comunicazione. Osservare quindi la logica evolutiva dei modi di fruizione della rete e delle loro forme ha a che fare con un mutamento antropologico più profondo”.



[1] Computer portatili che, grazie alla presenza di uno o più digitalizzatori, permettono all’utente di interfacciarsi con il sistema direttamente sullo schermo mediante penna o con il semplice uso delle dita.

[2] L’autore critica la lettura dei dati del grafico Cisco, poiché si riferirebbero a numeri relativi e mostra come, nel momento in cui essi sono interpretati in modo assoluto, ilWeb sembrerebbe tutt’altro che morto, ma vivo e addirittura in crescita.

[3] Traduzione dell’articolo “The Web is dead” da www.ilpost.it

[4] Da www.ilpost.it

[5]TechCrunch è un Blog statunitense che si occupa di tecnologia e informatica.

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